Scienza, etica e responsabilità
Alimentazione vegana per cani e gatti: un’alternativa possibile? Scienza, etica e responsabilità
Negli ultimi anni, la dieta vegana si è diffusa ben oltre i confini dell’alimentazione umana. Sempre più persone che adottano uno stile di vita cruelty-free si chiedono se sia possibile nutrire in modo vegano anche i nostri animali domestici. La risposta, come spesso accade quando scienza ed etica si incontrano, è: DIPENDE.
Cani: carnivori flessibili
Il cane è un carnivoro facoltativo. Durante la sua evoluzione accanto all’essere umano, ha sviluppato una certa capacità digestiva e metabolica verso i carboidrati e altri nutrienti di origine vegetale. Questo lo rende, in teoria, più adattabile a una dieta vegetariana/vegana, purché questa sia completa, bilanciata e supervisionata da un veterinario nutrizionista.
Uno degli studi più citati è quello di Knight et al. (2022), pubblicato su PLOS ONE, che ha analizzato 2.536 cani alimentati con diete convenzionali, a base di carne cruda o vegane.
Ma anche se ad una prima lettura i risultati potessero mostrare dei risultati soddisfacenti va detto che lo studio si basa su questionari compilati dai proprietari, non su esami clinici diretti, e quindi può contenere distorsioni soggettive.

Gatti: carnivori obbligati
Il discorso cambia radicalmente quando si parla di gatti. Il gatto è un carnivoro obbligato, con esigenze nutrizionali molto specifiche:
- Taurina, essenziale per la salute cardiaca e visiva.
- Vitamina A preformata, che non può sintetizzare dai carotenoidi.
- Acido arachidonico, un grasso essenziale presente solo nei tessuti animali.
- Vitamina D3, la cui forma attiva di origine vegetale ha biodisponibilità dubbia nei felini.
Anche qui, Knight ha pubblicato nel 2023 un lavoro su PLOS ONE, riportando che gatti alimentati con diete vegane mostravano uno stato di salute comparabile a quelli alimentati con carne, secondo le valutazioni dei loro tutori. Tuttavia, anche in questo caso mancano esami clinici diretti, studi a lungo termine e controllati.

Knight ha aperto un dibattito necessario, ma la qualità delle prove offerte è, ad oggi, molto discutibile da un punto di vista scientifico.
Ha condotto studi osservazionali basati su questionari compilati dai proprietari di animali domestici. Non sono studi clinici, ma indagini di percezione quindi:
- I dati sono auto-riferiti: ciò che viene misurato non è la salute reale dell’animale, ma la percezione del tutore.
- Non sono inclusi esami clinici, visite veterinarie indipendenti, analisi ematiche o altre misure oggettive.
- Esempio: Chiedere “Il suo cane ha un pelo lucido?” è molto diverso da un’analisi biochimica degli acidi grassi.
Questo tipo di dati è soggetto a bias cognitivi, come la desiderabilità sociale: i proprietari vegani, convinti della bontà della loro scelta, potrebbero inconsciamente sovrastimare la salute del loro animale.
La maggior parte dei partecipanti agli studi di Knight è stata reclutata tramite canali vegan-friendly o animalisti, come:
- Social media e forum vegani
- Mailing list di organizzazioni per i diritti animali
- Siti web su alimentazione vegetale
Anche questo comporta un forte bias di selezione:
- I partecipanti non rappresentano la popolazione generale di proprietari di animali.
- Sono più motivati, più attenti e meglio informati sulla dieta dei propri animali — cosa che può falsare i risultati.
- È possibile che solo i tutori con esperienze positive abbiano risposto al sondaggio, escludendo chi ha avuto problemi o insuccessi con l’alimentazione vegana.
Non presenta dati su follow-up oggettivi e prolungati.
Ad esempio:
- Nessuno studio dura più di pochi mesi o anni.
Non c’è documentazione su effetti subclinici, che spesso richiedono anni per manifestarsi, come:
- Miocardiopatie da carenza di taurina
- Cecità da deficit di vitamina A
- Alterazioni immunitarie o metaboliche
Senza studi longitudinali con esami clinici ripetuti, non si possono escludere danni a lungo termine, soprattutto nei gatti.
Gli studi, inoltre, non specificano quali diete sono state somministrate, né come sono state formulate:
- Si parla genericamente di “dieta vegana commerciale” o “casalinga”, senza distinguere tra marche, fonti, supplementi.
- Non viene verificata l’adeguatezza nutrizionale con metodi di laboratorio o certificazioni (es. FEDIAF, AAFCO)
Non sappiamo se gli animali stanno bene perché la dieta è vegana, o nonostante sia vegana ma ben formulata. Questo compromette la validità esterna dello studio (cioè l’applicabilità dei risultati ad altri casi).
In tutti i lavori prodotti si tende a minimizzare il ruolo dell’etologia e della biologia evolutiva. Ad esempio, tratta gatti e cani come se fossero adattabili in modo simile alla dieta vegetale, ma ignora le profonde differenze fisiologiche.
Non affronta con serietà i rischi legati alla biodisponibilità differenziale dei nutrienti vegetali rispetto a quelli animali.
Questo approccio potrebbe essere considerato antropocentrico o ideologicamente orientato, perché non tiene conto dei limiti naturali della specie animale.
Sebbene i lavori siano pubblicati su PLOS ONE, rivista open-access seria, questa non è una rivista veterinaria specialistica.
Gli studi non sono stati sottoposti al vaglio di esperti in:
- Fisiologia comparata
- Nutrizione clinica animale
- Etologia
Il rischio è che si pubblichino lavori ben scritti ma scientificamente deboli, che possono influenzare l’opinione pubblica prima che ci sia consenso accademico.
Gli studi di Andrew Knight sono pionieristici e coraggiosi, ma non forniscono ancora prove scientifiche sufficientemente forti per raccomandare una dieta vegana per tutti i cani, e ancor meno per i gatti. Il valore di questi lavori è esplorativo, non dimostrativo.
Fino a quando non avremo studi clinici controllati, dati biochimici a lungo termine e revisione da parte della comunità veterinaria clinica…le diete vegane per animali carnivori non potranno essere considerate sicure in modo scientificamente incontrovertibile.
Etica e scienza: un equilibrio delicato
Chi sceglie una dieta vegana per motivi etici lo fa per minimizzare la sofferenza animale. Estendere questa scelta ai carnivori domestici può essere comprensibile ma risulta comunque una scelta antropocentrica e insensibile a quelli che sono i reali bisogni non solo alimentari, ma anche etologici, degli animali che accogliamo nelle nostre case.
Imporre una dieta vegana a un animale senza garanzie nutrizionali potrebbe arrecargli sofferenza, entrando così in contrasto con i principi dell’etica vegan stessa. In particolare, se un gatto sviluppasse una cecità o una cardiomiopatia per carenze evitabili, sarebbe un fallimento sia sul piano scientifico che etico.
Il rispetto per la vita animale — umana e non — si fonda anche sulla conoscenza, la prudenza e l’umiltà scientifica. Finché la scienza non ci darà risposte definitive, la scelta più etica potrebbe non essere quella perfettamente allineata con l’ideale, ma quella più attenta al benessere individuale del nostro animale.
Bibliografia essenziale
- Knight A. et al. (2022). Vegan versus meat-based dog food: Guardian-reported indicators of health. PLOS ONE.
https://doi.org/10.1371/journal.pone.0265662
- Knight A. et al. (2023). Vegan versus meat-based cat food: Guardian-reported health outcomes. PLOS ONE.
https://doi.org/10.1371/journal.pone.0284132
- Dzanis DA. (2008). The carnivore connection: Nutritional limitations of vegetarian pet foods. Compendium on Continuing Education for the Practicing Veterinarian.
- Case LP et al. (2011). Nutrition of the Dog and Cat. Elsevier. (testo accademico di riferimento)